Lo stato dell'arte - le storie devono necessariamente finire?
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Lo stato dell'arte - le storie devono necessariamente finire?
14/06/2016 - Quando scriveva Opera aperta, Umberto Eco aveva in mente soprattutto la letteratura d’avanguardia. Ma, oggi, il fenomeno delle storie che non si chiudono sembra riguardare anche (se non soprattutto) opere rivolte al grande pubblico come, ad esempio, le serie televisive. A Lo stato dell’arte, il programma di Rai Cultura in onda martedì 14 giugno su Rai5, Maurizio Ferraris ne parla con Paolo Fabbri, docente di Semiotica presso la Scuola di Giornalismo Luiss di Roma, e Roberto Cotroneo, giornalista, scrittore, poeta e critico letterario.
Perché ci si appassiona a storie che si sa già che non avranno una fine capace di darci risposte soddisfacenti? Si spera comunque che la fine - prima o poi – arriverà, in quanto momento essenziale della narrazione, oppure ci si rassegna all’eventualità che vi possano essere storie senza fine? Per Paolo Fabbri, le storie possono avere un inizio, ma non una fine, possono avere una fine e nessun inizio, possono essere aperte, avere un lieto fine o essere cicliche. La cosa interessante non è catalogarle, ma capire quali culture caratterizzano, che lettore o spettatore creino o presuppongano. Un dato di fatto è, a suo avviso, che le avanguardie di oggi sembrano avere liquidato la narrazione lineare a favore della tendenza a combinare storie senza limiti.
Per Roberto Cotroneo, invece, la forma narrativa per cui le storie hanno un inizio e una fine si sta sfaldando, come dimostrano le serie televisive o le chat. Del resto, nella letteratura popolare, dove troviamo il classico finale e tutti vissero felici e contenti, interessa il percorso che è stato fatto dai protagonisti, non la fine in sé. Con il '900 la narratività è addirittura capovolta, e spesso per poter iniziare si parte dalla fine, come ha fatto Lee Masters nella sua antologia, dove sono i morti - quelli già finiti - che raccontano.(comunicato Rai)
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